domenica 4 ottobre 2009

CATULLO - CARME 50

CARME 50
Hesterno, Licini, die otiosi multum lusimus in meis tabellis, ut convenerat esse delicatos: scribens versiculos uterque nostrum ludebat numero modo hoc modo illoc, reddens mutua per iocum atque vinum. atque illinc abii tuo lepore incensus, Licini, facetiisque, ut nec me miserum cibus iuvaret nec somnus tegeret quiete ocellos, sed toto indomitus furore lecto versarer, cupiens videre lucem, ut tecum loquerer, simulque ut essem. at defessa labore membra postquam semimortua lectulo iacebant, hoc, iucunde, tibi poema feci, ex quo perspiceres meum dolorem. nunc audax cave sis, precesque nostras, oramus, cave despuas, ocelle, ne poenas Nemesis reposcat a te. est vehemens dea: laedere hanc caveto.

TRADUZIONE
Ieri, Licinio, liberi molto giocammo sulle mie tavolette, come si addiceva che fosse per dei raffinati: scrivendo versicoli ognuno di noi giocava col metro ora questo ora quello, rispondendoci a vicenda tra scherzo e vino. E mene andai da lì accesso, Licinio, dal tuo garbo e spirito, che , povero me, né il cibo mi giovava né il sonno copriva di quiete le pupille, ma indomito mi volgevo per tutto il letto con smania, bramando di veder la luce, per parlare con te, e per starti insieme. Ma dopo che la membra stanche di fatica giacevan semimorte sul lettuccio, ti feci, carissimo, questa poesia, da cui intravedessi il mio dolore. Ora guardati dall'esser audace, prego, guarda di non disprezzare, (mia) pupilla, le nostre preghiere, perché Vendetta non ti chieda di pagare il fio. E' una de furiosa: guardati dal colpirla.

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